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Là dove comincia la notte

di Ferdinando Balzarro

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Sentii il mondo lontano, ma soprattutto non tanto interessante da volerci vivere ancora, e quasi mi rammaricai che l’opportuno accavallarsi di ottuse coincidenze mi avesse risparmiato. Poi, dopo un lasso di tempo della cui durata non ho tuttora consapevolezza, fui liberato dai drenaggi, dalla maschera d’ossigeno, e dall’intimo rapporto con il monitor dallo schermo scuro, sulla cui superficie ondeggiava senza posa la traccia luminescente del mio diagramma cardiaco. Allora mi tornò alla mente quel pensiero così assurdo da meritare di rifletterci sopra. Mi tornò in mente la surreale preoccupazione di non poter terminare il programma iniziato. Mi tornò in mente come quell’idea, fissa e senza dubbio folle, avesse monopolizzato la chimica delle poche sinapsi ancora funzionanti e invaso ogni interstizio psichico, in quei casi, normalmente preda del cieco terrore. Com’è possibile, mi domandavo di continuo, che non abbia provato un po’ di paura? Com’è possibile passare da una dimensione all’altra, tanto lontane e tra loro in antitesi, senza subire il brivido freddo della fine o essere sommerso da un’onda di sgomento?

Per rispondere almeno in parte al quesito, riflettei su quanto la vita, per buona parte spesa a studiare il karate, mi avesse educato ad attribuire eguale importanza alle cose piccole così come a quelle grandi, ma soprattutto, come gli allenamenti quotidiani mi avessero abituato a prestare la massima cura e attenzione al gesto che stavo compiendo, evitando di occuparmi di quello che l’aveva appena preceduto e senza preoccuparmi di quello che un istante dopo l’avrebbe seguito. In pratica, il subliminale insegnamento che tanti anni di ripetizione e studio, specie dei kata, mi hanno impartito, consiste proprio nel riuscire a vivere al cento per cento e in modo globale l’essenza di ciò che sto compiendo, di qualunque cosa si tratti! Sia essa la semplice azione di bere un bicchiere d’acqua, o il facile sollevamento del ginocchio per salire il primo gradino del treno, così come la complessa e rischiosa arrampicata di una vetta.

“La vita in ogni respiro”. Questa la fascinosa filosofia dispensata dai maestri di spada ai loro giovani adepti.

E questa, con buone probabilità, fu l’inconsapevole lezione appresa durante quegli ultimi fatali secondi di mia parziale lucidità. La cosa essenziale, per me, non era quindi il drammatico passaggio dalla luce all’oscurità che presto avrebbe preso il sopravvento, bensì il delirante rammarico di non poter completare il succedersi dell’armonica e sapiente litania di gesti a cui il corpo assieme alla mente si stavano dedicando. Follia? Stupido fanatismo? Inadeguato complesso di superiorità? Caparbia convinzione di poter gestire perfino gli spazi presidiati dalla morte? Può darsi! Sì.,. sempre fedeli all’inguaribile foga di giudicare tutto e tutti, potremmo anche decidere di liquidare l’episodio con l’utilizzo dissacrante di una sonora risata. Ma molte cose, nella vita, non sono sempre chiare e lampanti. Anche perché il più delle volte esse vengono osservate attraverso un filtro già intasato dal calcare di opachi pregiudizi o peggio ancora, condizionati dal timore di dover rimuovere quei grumi di verità così faticosamente conquistati nell’ arco di un’intera vita, siamo pronti a considerare pazzi tutti coloro che minacciano le nostre certezze...

Mi parve interminabile il periodo trascorso tra lo squallido allinearsi dei letti nella corsia di quell’ospedale dai muri grigiastri, tanto poco accogliente quanto fondamentale per le terapie intensive cui venivo sottoposto. Ricordo i risvegli all’alba, il cibo inghiottito contro voglia e il senso di spossatezza di cui ogni mia cellula era invasa.

E mi parvero altrettanto lunghi i giorni necessari a riabilitare i muscoli per compiere movimenti elementari, come quello di coprire sulle mie gambe il breve tragitto che mi separava dal bagno.

Ma, una volta “libero”, appena il primo sentore di energia cominciò a scorrere nelle membra, istintivamente mi recai nel luogo dove sapevo aver lasciato in sospeso qualche cosa. Quella cosa, per tutti quei mesi, era rimasta lì ad attendermi certa che sarei tornato per finire ciò che avevo lasciato incompiuto.

Quella cosa è la mia passione. Gli allenamenti solitari, il sudore copioso, la precisa alternanza di affanno e quiete, di velocità e lentezza, di rilassamento e contrazione, la consapevolezza di esistere in ogni gesto; ecco qui le esperienze per cui vivo e mi entusiasmo e sogno.

Tutto questo si aspetta che io non mi stanchi di esplorarne i segreti e assorbirne la ricchezza interiore, molto più vera e profonda di quella percepita dai sensi... Sì... prima di giungere laggiù, ove il silenzio ha posto i suoi confini… prima di giungere davvero là... Là, dove comincia la notte.

Da non perdere! Sul prossimo numero di Samurai il nuovo articolo di Ferdinando Balzarro...

Ferdbalz@tin.it
Per gentile concessione della rivista Samurai Banzai
Mese di Gennaio - Anno 2005
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